Legalizzazione si legalizzazione no e la terra dei cachi.
La legalizzazione o meno delle droghe è uno di quegli argomenti di cui si tratta ciclicamente. Il 2012 non poteva sfuggire a questa regola ed eccoci serviti.
Giovanni Serpelloni e Vasco Rossi duettano su un tema del quale sono, per motivi diversi, degli esperti (da Repubblica on line, del 13 agosto 2012) .
Il primo preoccupato della deriva lassista si rivolge al Rocker facendo l’elenco dei servizi pubblici e privati che si occupano del tema del recupero dai comportamenti dipendenti mettendoli in contrapposizione agli spacciatori, mentre il secondo pone una questione di tipo più culturale ed emotiva individuando nell’emarginazione sociale la causa del ricorso alle sostanze stupefacenti.
Tema complesso, di non di facile soluzione, adattissimo a dividere gli opinionisti in “pro” e “contro”
Se penso ai problemi generati dall’alcolismo o quelli legati all’uso delle sigarette, mi piacerebbe pensare che l’assenza di queste sostanze sul mercato faciliterebbe la vita a molti.
Contemporaneamente mi viene da pensare che riusciremmo comunque a trovare un modo per complicarci ulteriormente la vita.
In questo siamo maestri, basta pensare al gioco d’azzardo e a tutti quei comportamenti che portano l’uomo al tentativo di superamento dei propri limiti in modo poco lecito ed ortodosso.
E cosa pensare del maratoneta Schwarzer, beccato da costosissimi controlli volti a garantire il corretto svolgimento delle Olimpiadi? Un interrogativo continua a ronzarmi in testa tra i tanti che questa vicenda ha innescato: perche staff di medici e di ricercatori gravitano in così grande quantità intorno a questi uomini dello sport?
Ma lasciamo questi dubbi e ritorniamo al tema della legalizzazione.
Non è sufficiente la spiegazione dell’emarginazione sociale e ne tanto meno è convincente la lotta alla mafia per giustificare un atteggiamento di legalizzazione
Saviano in diversi suoi scritti lo dice: la mafia è già legalizzata. Mai come oggi fa affari con il mondo del commercio legale.
Oggi le droghe più che per emarginare probabilmente servono per mettersi al centro (fin che ne gira).
Per evitare i problemi di delinquenza e di sfruttamento, probabilmente bisognerebbe fare una politica della riduzione dei prezzi della droga che nemmeno il mercato legale riuscirebbe a rendere compatibile nel mercato della competizione globale.
Ora, che il proibizionismo non sia la soluzione efficace e definitiva è fuori discussione.
Non è con un provvedimento sostanzialmente così semplice che si risolve un problema in cui tutti nostri sforzi sono messi alla prova dalla centralità delle fragilità e contraddizioni umane.
E’ vero che esistono servizi pubblici e privati oltre a cliniche iperspecializzate e dai costi improponibili per i più, ma è anche vero che la clinica delle dipendenze in Italia è la cenerentola dei servizi: con linguaggio comune possiamo dire che si tratti dell’’ultima ruota del carro.
Probabilmente un approccio realistico oggi potrebbe trovare sfogo “nella legalizzazione dei servizi di cura”.
La droga oltre che aspetti ludici e il potenziamento di alcune sensazioni, porta con se anche comportamenti pericolosi e non sempre controllabili. Basta leggere le cronache quotidiane per rendersi conto di quanta violenza si accompagna a questo tipo di consumo e quanto tempo passa prima di rendersi conto dei comportamenti rischiosi che le sostanze inducono.
Poi a volte arriva un barlume di luce, una voglia di dire basta con queste storie e allora ci si rivolge a qualche servizio e li cosa si trova? Operatori stressati, assenza di risorse economiche da investire per trattamenti di disintossicazione e tempi di attesa che spesso non coincidono con i bisogni di chi si rivolge ai servizi.
Se è vero che tanto per Serpelloni quanto per Vasco il tema centrale è la persona, sicuramente è li che occorre agire sia da un punto di vista sociale e culturale ma anche da un punto di vista tecnico e professionale. Oggi un tossicodipendente che vuole fare una disintossicazione o si rivolge a cliniche speciali o nel sistema sanitario nazionale fatica a trovare risposte se non nelle sperimentazioni, abbastanza instabili, delle comunità sparse sul territorio.
Allora si, ripartiamo dall’uomo, libero di partecipare.
Vorrei essere libero come un uomo!
Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura,
che cammina dentro a un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà?
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Giorgio Gaber.
I.M. Cipressi 14 agosto 2012
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